Chiese e monasteri: dismissioni o nuova vita?

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Santa Sofia. Non più chiesa, ma sempre simbolo della chiesa.

Di Leonardo Servadio

Introduzione

È un grave problema che vi siano edifici di origine religiosa abbandonati: un problema crescente e diverse recenti iniziative lo mettono in rilievo. E certo che le persone abbandonino la religione è un sintomo del malessere del mondo contemporaneo – ma che gli edifici sorti per fini collegati alla religione cambino destinazione d’uso può anche essere considerata un’opportunità.

L’ha capito la speculazione immobiliare, è importante che lo recepisca anche il mondo della cultura.

C’è chi come Etsuro Sotoo, scultore giapponese che opera alla Sagrada Familia, è stato convertito al cristianesimo dall’arte e dall’architettura di Gaudí: è una delle dimostrazioni di come l’arte e l’architettura, se di qualità, sanno parlare, comunicare e magari anche aprire i cuori.

Le autorità religiose, in Italia e all’estero, hanno stilato indicazioni su come possano essere condotte le alienazioni per evitare che gli edifici dismessi di loro pertinenza finiscano in usi impropri.

Ma spetta anzitutto alle persone civili, alle comunità che si riconoscono in una cultura che nei secoli è stata promossa e veicolata dalla Chiesa, di trovare i modi per far sì che gli edifici continuino a parlare pur nel mutare delle condizioni sociali e dei paradigmi dominanti.

Così che le chiese, i monasteri, i conventi – che tra gli edifici sono quelli più complessi poiché uniscono agli aspetti funzionali quelli simbolici, artistici e spirituali – continuino a parlare.

E nell’epoca della globalizzazione, delle migrazioni che avvengono per affari, per turismo, per lavoro o per disperazione, siano occasione di incontro e dialogo.

La relazione che segue è stata presentata il 24 gennaio 2019 nel corso del seminario e incontro pubblico “Ri-abitare le chiese chiuse. Patrimoni, nuovi usi, paesaggi” svoltosi presso la chiesa di San Teonisto a Treviso, organizzato da Fondazione Benetton Studi e Ricerche, per la cura di Luigi Latini e Sara Marini dell’Università IUAV di Venezia*.

La cattedrale-moschea di Cordoba (Andalusia, Spagna).

Sempre sono avvenute trasformazioni

La cattedrale di Cordoba, dedicata all’Assunzione di Maria Vergine, era una moschea, realizzata a partire dal 784 quando la città fu presa sotto il controllo dell’emiro omayyade Abd al-Rahman I.

Cattedrale-moschea di Cordoba.

Pare che prima sul sito ci fosse una piccola chiesa cristiana dedicata a San Vicent de Lérins. Dopo che nel 1236 Cordoba fu conquistata da Ferdinando II di Castiglia, nell’ambito di quel lungo processo storico conosciuto come Reconquista, fu trasformata in chiesa cattedrale e l’opera fu completata nel XVI secolo.

Il Mihrab, Cattedrale-moschea di Cordoba.

Oggi è conosciuta come “moschea-cattedrale” ed è considerata uno dei massimi monumenti dell’architettura islamica in Spagna.

Sala di preghiera.

La sua grande sala di preghiera ha una copertura retta da 856 colonne in parte provenienti da un precedente tempio romano che stava sullo stesso sito.

Cattedrale-moschea di Cordoba, il tabernacolo.

È merito dei governanti cristiani di aver mantenuto la struttura originaria pur adattandola alle esigenze del culto cristiano. Tanto che oggi la crescente comunità musulmana composta da immigrati in prevalenza marocchini chiede di poter usarne ancora lo spazio per i propri riti.

Simili casi di ex moschee, magari sorte su ex chiese, divenute chiese, si trovano a Siviglia, Granada, Toledo e altrove in Spagna. Non si tratta di casi isolati.

Santa Sofia a Costantinopoli.

La grande basilica di Santa Sofia a Costantinopoli fu eretta nel VI secolo e dal 537 al 1453 fu cattedrale ortodossa. Dopo la conquista musulmana di Costantinopoli divenne moschea e tale rimase sino al 1931.

Santa Sofia, mosaico raffigurante Cristo in trono, arco trionfale.

Nel 1935 divenne museo: chi la visita oggi prova un certo spaesamento. Perché l’edificio ha impressi i caratteri della chiesa, non della moschea né tanto meno del museo. Tutto appare incongruo in essa.

[Nel luglio 2020 il Presidente turco Erdogan ha voluto ritrasformarla in moschea, non sappiamo con quali risultati sotto il profilo architettonico].

Santa Sofia, divenuta museo.

È la società che definisce l’uso e pertanto anche il senso degli edifici di cui dispone: ma la manifesta incorguenza mostra anche che vi è un senso intrinseco dovuto all’origine degli edifici, e questo permane. Vi sono tanti altri casi di straniamenti.

Piscina Moskwa, 1958, la più grande del mondo.

Nella Russia sovietica centinaia di chiese e monasteri furono abbattuti o riutilizzati per altri scopi. Il caso più noto è quello della cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca. Sul sito in cui questa sorgeva il regime sovietico costruì la piscina Moskva nel 1958. Nel 1937 avevano cominciato a costruirvi il Palazzo dei Soviet,

Palazzo dei Soviet, progetto.

che doveva divenire il più alto edificio del mondo. La seconda guerra mondiale impedì il completamento dell’opera.

Mosca, Cattedrale di Cristo Salvatore, inizi del ‘900.

La cattedrale di Cristo Salvatore che vi sorgeva in precedenza era la maggiore chiesa russa.

Mosca, 1931: viene abbattuta la Cattedrale di Cristo Salvatore.

Questa fu abbattuta nel 1931 perché il regime comunista non aveva bisogno di chiese. Dopo la caduta del comunismo, nel 1992 il Patriarcato promosse una raccolta fondi: nel giro di soli due anni raggiunse una cifra tale da consentire di cominciare a costruire la nuova chiesa, oltre un milione di moscoviti aveva dato il proprio contributo.

La nuova Cattedrale di Cristo Salvatore, ricostruita nel 2000.

La nuova chiesa, costruita identica a quella precedente, fu consacrata il 19 agosto del 2000, giorno della Trasfigurazione.

Dopo che nel 2011 Patriarca e Sindaco di Mosca hanno sottoscritto il “Programma 200”, il 4 marzo 2011 “Russia News” annuncia: “Il Sindaco di Mosca destina nuove aree per dozzine di nuove chiese”.

A Mosca dal 2011 è in corso il progetto di costruire circa 200 nuove chiese, si chiama “Programma 200” ed è stato sottoscritto dal Patriarca moscovita e dal sindaco della città. E se lì costruiscono nuove chiese, in Europa occidentale, in tutto il mondo occidentale, anche noi ne costruiamo per via dell’espansione urbana, ma molte vengono abbandonate. Non sono più necessarie: la società non ne ha più bisogno. O crede di non averne.

Il problema è che la chiesa non è un edificio: è un fatto sociale

La chiesa edificio è secondaria rispetto alla chiesa propriamente detta. Nel mondo giudeo-cristiano il luogo della celebrazione religiosa è quello in cui si incontrano le persone: prima che un luogo fisico è un luogo sociale. Nella tradizione ebraica si richiede che per celebrare si riuniscano, ovunque, anche all’aperto, dieci uomini adulti. E il termine sinagoga vuol dire venire assieme, radunarsi: è un’azione che compiono esseri umani, prima di essere un luogo. Anche il termine “chiesa”, da noi associato in prevalenza agli edifici, in realtà significa assemblea: il greco ekklesìa.

Il problema oggi non è quello degli edifici, ma quello della religione e della condivisione. Dall’illuminismo si è andata diffondendo una certa qual avversione alla religione nel nome della cultura: l’idea essendo che la persona colta e razionale non può essere religiosa. In effetti con l’illuminismo e le sue conseguenze, in particolare Napoleone e poi il sorgere degli stati laici contemporanei, molte chiese furono espropriate e per questo troviamo che musei “civili” come la Pinacoteca di Brera a Milano, espongono in prevalenza opere di origine religiosa: Brera infatti con Napoleone divenne un centro di raccolta di opere d’arte sottratte da chiese e monasteri, e ritenute non sufficientemente interessanti per essere portate a Parigi al Louvre.

Ma in realtà la cultura nel nostro continente nasce, almeno dall’alto medioevo, all’interno delle istituzioni cristiane, in particolare monasteri, e si apre al vasto pubblico dal basso medioevo e in particolare dal Rinascimento: ma dall’illuminismo tende ad abbandonare la matrice cristiana.

E se un tempo si vedevano chiese e monasteri cambiare di padrone per via delle invasioni o delle riconquiste, ai nostri giorni si vede che queste trasformazioni avvengono per via di cambiamenti nella matrice ideologica prevalente nella società. Così se nel mondo che fu comunista assistiamo a un imponente impegno per ricostruire chiese e monasteri, nel mondo occidentale ancora stiamo assistendo a una riduzione del numero di coloro che frequentano i luoghi in cui si esercita il culto religioso e quindi anche al loro abbandono e alla loro alienazione.

Le gerarchie ecclesiastiche, da tempo consce del problema, richiedono che tali alienazioni e cambi d’uso avvengano in modo da mantenere una certa coerenza con l’origine.

Rilevamento statistico dei fedeli di diverse religioni in Germania, 2014: 23,9 milioni di cattolici, 22,6 milioni di luterani, 4 milioni di islamici.
Rilevamento statistico dei fedeli di diverse religioni in Germania, 2015: 23,8 milioni di cattolici, 22,3 milioni di luterani, 4,5 milioni di islamici.

In Germania c’è almeno il caso di una chiesa che è divenuta moschea. Il caso è noto: dai primi anni 2000 la chiesa luterana Kapernaum di Amburgo era inutilizzata e nel 2002 fu venduta per mancanza di fondi. Nel 2012 fu acquisita da una locale comunità mussulmana, la comunità di Al Nour, i cui fondi in gran parte provenivano dal Kuwait. Ed è stata trasformata all’interno perché le moschee devono essere orientate verso la Mecca. Il caso ha fatto molto discutere. È esemplare di un altro problema, quello del numero di fedeli. Il Remid, l’ufficio tedesco che si occupa di statistiche sui fedeli delle varie religioni, indica che tra 2014 e 2015 si è registrata una leggera contrazione dei cristiani (divisi più o meno a metà tra cattolici e protestanti con una minoranza di ortodossi) e un deciso aumento degli islamici, passati da 4 a 4,5 milioni: il fatto è molto rilevante, perché si parla di variazione avvenuta nell’arco di un anno.

Come si può garantire che una condizione di appropriatezza si mantenga in successive alienazioni e nel corso del tempo? Nel mondo vi sono vari casi di chiese divenute bar o ristoranti, studi professionali, abitazioni. Qualcuna night club. Monasteri che sono divenuti sedi universitarie, o alberghi.

Occorre forse che si mantenga l’attenzione sul fatto che non sono importanti tanto gli edifici, quanto il modo in cui le persone usano gli edifici e il modo in cui li guardano.

The Church Bar, Dublino (Ireland).

Nel 2016 chi scrive pubblicò in Avvenire un articolo sulle trasformazioni delle chiese (già da tempo se ne parlava e non solo in Italia, anche il New York Times e il Wall Street Journal ne avevano dato ampio riscontro). In Avvenire si citò il bar “The Church” nel centro di Dublino, che era stato chiesa di St. Mary fino al 1997, poi privatizzata. L’edificio è considerato un’attrazione turistica, sulle guide indicato per il suo valore monumentale.

Dublin The Church cafe bar and restaurant. Al posto dell’assemblea e della pedana dell’altare, il bancone del bar.

C’è tutto un gran negozio immobiliare che si è sviluppato attorno alle chiese e monasteri. Fanno gola perché di solito sono edifici solidi, ben costruiti, spaziosi.

Annuncio in un sito di Real Estate inglese: una cappella da poco venduta nelle Marche (Italia).
Screenshot di un sito di Real Estate negli Stati Uniti: si vendono chiese anche di recente costruzione, come quella a destra, che risale alla svolta del XXI secolo.

Per esempio il caso di un’ex chiesa in Canada, a Virgil in Ontario, divenuta birrificio: Silversmith Brewing Co. Di solito i proprietari di questi edifici sono molto orgogliosi.

Screenshot di un giornale online canadese, parla di una chiesa divenuta birrificio: “Dal Sacro al Profano – edifici religiosi rinati” dice il titolo.

Ma con quel genere di alienazione, quel che era comunitario diventa privato, sottratto all’uso pubblico che potrebbe invece sussistere a prescindere dall’assetto proprietario.

Queste alienazioni sono in corso da decenni in tutto il mondo. Vi sono casi eclatanti, come quello della catena di Night Club Limelight negli USA, la cui sede di New York è stata collocata in una ex chiesa costruita in stile Gothic Revival a Manhattan. Questo night club è stato poi chiuso ed espropriato, e ora l’ex chiesa è un centro fitness.

New York, Limelight: una chiesa “Gothic Revival” divenuta prima night club, quindi ristorante e poi centro fitness.

Altre trasformazioni sono più coerenti con la destinazione originaria: a Maastricht per esempio c’è una libreria. Ma anche qui si evidenzia il rischio: in fondo, nell’area absidale, hanno messo un tavolo a forma di croce di dubbio gusto: sta dove stava l’altare. Dà un vago senso di profanazione.

Selexyz, libreria ricavata da una chiesa domenicana del XIV secolo (progetto Merkx + Girod Architects, Maastricht, Netherlands, 2007).

Vi sono casi molto diffusi di trasformazioni per uso residenziale. Quali una magione lussuosa nel centro di Londra, che un tempo era chiesa.

The St. Saviours, ora residenza di lusso a Kingsbridge, Londra, con piscina (v. sotto) laccata in oro e sala per proiezioni cinematografiche (2004).

Altri più consoni alla dimensione comunitaria, quali la ex Samuels Kirke divenuta centro studentesco a Copenaghen su progetto di AY Arcagency (i lavori sono stati compiuti nel periodo 2014-17).

Copenaghen, ex Samuels Kirke, ora centro studentesco.
Samuels Kirke, la sala assembleare, dove stava la chiesa.

Nel citato articolo pubblicato in Avvenire nel 2016, si faceva menzione della ex chiesa di San Giuseppe ad Asti, e si riferiva che era divenuta sala da biliardo.

Asti, ex chiesa di San Giuseppe.
Sala biliardo che per un certo periodo è stata collocata nello spazio della chiesa di San Giuseppe a Asti.

Alcuni cittadini di Asti protestarono: l’ex chiesa nel 2016 non era già più sala da biliardo, era diventata teatro comunale. Una destinazione ritenuta ovviamente più consona in quanto dotata di valore culturale e comunitario, non di mera diversione o competizione. L’edificio, pur non officiato, evidentemente significava ancora molto per i cittadini di Asti. 

Le sue vicende sono emblematiche. Fu soppressa come chiesa nel 1802, a opera di Napoleone, come molti altri luoghi. Nel 1827 vi ritornarono i religiosi per assistere militari malati. Nel 1923 parte del convento fu dato alle milizie fasciste. Nel ’27 divenne sede dei vigili del fuoco. Dal 1971 è stata restaurata e usata per mostre e altri eventi anche di natura culturale.

La sua vicenda, e l’attenzione con la quale i cittadini di Asti ancora la guardano dimostra come l’edificio chiesa sia effettivamente simbolo della comunità. A prescindere dal fatto che oggi in quella chiesa si pratichi o no il culto.

Si dimostra come la chiesa non sia un semplice segno. Chiesa è comunità e del pari anche il luogo in cui la comunità si riunisce – per questo diviene simbolo di quella comunità.

Simbolo nel senso proprio del termine: oggetto che condivide qualcosa con l’altro cui riconduce. Il simbolo non è un semplice segno, ma partecipa in modo efficace della natura stessa dell’altro di cui è simbolo.

In questo modo la chiesa, quale luogo in cui si ritrovano i cristiani e assieme officiano i propri riti, è simbolo della comunità cristiana. Per questo è così grave e delicato il problema di alienarla o trasformarla, e per questo dei cittadini possono sentirsi offesi se si scrive che una chiesa è diventata sala per biliardo quando questa bensì era stata tale ma poi è divenuta qualcosa di più consono alla sua destinazione originaria.

La comunità, la cittadinanza è la soluzione

Ecco che si dimostra come la comunità sia la vera custode degli edifici e, se perde la capacità economica di gestirli, può legittimamente pretendere che tali edifici conservino almeno in parte il loro senso originario.

Oggi non viviamo più in epoca di invasioni e anche la crisi ideologica sembra aver fatto il suo tempo. Gli edifici restano a testimoniare non solo un’epoca, ma la vita di una comunità che, magari ridotta di numero, tuttora esiste e, comunque sia, si rifà a quella che è l’origine dell’Europa attuale, dove ogni cittadino ha eguali diritti o dovrebbe averne, dove si considera sacra la vita delle persone, dove si rifiuta la pena di morte, ecc. Una cultura che è stata totalmente conformata dal cristianesimo.

E nella società globalizzata, quando vi sono orde di turisti che trascorrono arrivando da mondi lontani, e flussi di migranti che cercano qui una nuova casa, la domanda è: non possono le ex chiese divenire luogo per l’incontro con l’altro? Luogo per spiegare all’altro qual è il fondamento della nostra civiltà?

Ora, come in Spagna e Portogallo vi sono las posadas, castelli e palazzi trasformati in luoghi di accoglienza nei quali il turista può ritrovare parte di quel passato che costituisce le fondamenta di quella cultura, non avrebbe senso che le chiese e i monasteri abbandonati svolgessero questa opera di ambasciatori, di annunciatori della nostra cultura a fronte dei tanti stranieri che giungono nei nostri paesi spinti dal globalismo nelle sue varie manifestazioni?

In Cina si prevede che la classe media raggiungerà il mezzo miliardo di persone tra non molti anni. Negli anni ’80 abbiamo conosciuto l’arrivo delle truppe di turisti giapponesi armati di macchine fotografiche, quando giungeranno in massa i turisti cinesi saranno ben di più. Bisognerà accoglierli senza soffocare i centri storici stranoti del Grand Tour, ma favorendo l’emergere dei tanti altri centri di interesse storico e culturale diffusi sul territorio.

Far rivivere chiese e monasteri abbandonati come luogo di accoglienza capace anche di dire al meglio quali sono le radici della nostra civiltà non può che essere di interesse e aiuto reciproco.

Del resto il mondo che oggi abitiamo è drasticamente diverso da quello di pochi decenni fa: oggi siamo oltre sette miliardi e abitiamo prevalentemente in città. Nel secondo dopoguerra la popolazione mondiale era di poco più di due miliardi e viveva in pravalenza dnelle campagne — almeno in quel che non era considerato “mondo occidentale”. Nel giro di un decennio raggiunse i tre miliardi e in Europa si completò l’urbanesimo. Cinquant’anni dopo non solo l’Europa, ma tutta la popolazione mondiale è più urbana che rurale e il peso demografico del vecchio continente nel mondo è drasticamente diminuito. Il peso demografico ed economico dell’Asia sta prevalendo: la Cina sta superando gli Stati Uniti come capacità produttiva e ricchezza economica.

La cultura è un formidabile strumento di dialogo

E ovunque c’è desiderio per gli aspetti tipici della cultura europea.

Isola di Guam, edificio usato per matrimoni: cappella di stampo neogotico.

In Oriente oggi si costruiscono chiese, o edifici che assomigliano a chiese, solo per andare a sposarsi: perché un momento così importante richiede un luogo di pari rilevanza e trascendenza. Sull’isola di Guam, nel mezzo dell’Oceano Pacifico, c’è una cappella, St. Probus Holy Chapel presso l’Hotel Hilton, e si propaganda come luogo privilegiato per matrimoni: ci vanno dal Giappone, dalla Corea e dalla Cina.

In Giappone molti edifici che si presentano come chiese sono esclusivamente dedicati ai matrimoni. Come la Ribbon Chapel a Hiroshima, di Hiroshi Nakamura, realizzata nel 2015.

Hiroshima, Ribbon Chapel, progetto Hiroshi-Nakamura.

Un hotel di Osaka ha costruito al proprio interno una riproduzione della cappella di All Saints Church a Brockhampton (Herefordshire, UK). Perché le coppie vi vadano a celebrare il proprio matrimonio.

All Saints Chapel di Brockhampton, Herefordshire, copia nel Monterey hotel, Osaka, 2009.

Anche in Cina si assiste allo stesso fenomeno: per esempio la cappella in cemento bianco che guarda il mare, dello studio Vector Architects, che con l’alta marea sembra una barca.

Seashore chapel, nel nuovo distretto di Beidaihe, Cina. Progetto Vector architects di Beijing.

Sulle prime, di fronte a un tale fenomeno si può rimanere perplessi. Ma il fatto è che esso dimostra come anche per altre civiltà e tradizioni storiche non vi siano luoghi più rilevanti e più “trascendenti” delle chiese. Per questo gli edifici che le rappresentano sono scelti per il momento migliore e più importante della vita: per sposarsi, per mettere su famiglia.

Dunque il fenomeno è un indice di come pur nella civiltà dei consumi si aspiri a qualcosa che superi la ristrettezza del momento in cui viviamo. Il matrimonio è il momento in cui l’individuo diviene consciamente e responsabilmente parte della storia millenaria del succedersi delle generazioni.

Una non dissimile aspirazione a un recupero della spiritualità si riscontra in chi sceglie, per un periodo di vacanza, di recarsi in un monastero.

Dunque, a fronte di monasteri e chiese dismessi, perché non pensare di farne gli araldi della nostra civiltà occidentale? In questo modo si potrà dialogare al meglio con persone che giungono dal vicino o dal lontano Orientale, da civiltà apparentemente lontane, sullo sfondo del mondo globalizzato.

Perché ci troviamo nell’ambito del mondo globalizzato, e avvengono ingenti spostamenti di persone, vuoi per migrazioni, vuoi per turismo, vuoi per affari. Ci troviamo di fronte a una autentica possibilità di incontro e dialogo tra civiltà e culture.

Per esempio, oggi a Milano vivono persone provenienti da diversi paesi dell’America Latina, dell’Asia, in particolare Cina, Sri Lanka, Vietnam, dall’ex Europa dell’est, Ucraina, Romania, Bulgaria, Russia, dall’Africa, in particolare Nigeria, Somalia, Egitto e Marocco. E poiché le religioni sono le basi delle civiltà, conoscerci attraverso gli edifici che rappresentano le religioni, è un modo per potersi meglio apprezzare e, nel rispetto delle diversità, accettarsi, riconoscendo che al fondo vi sono elementi in comune.

Se così non fosse, la moschea di Cordoba non sarebbe potuta diventare una chiesa e oggi la comunità musulmana non potrebbe chiedere di usarne, pur restando cattedrale, per i suoi riti islamici.

Il mondo in cui viviamo è complesso. Gli edifici dedicati al culto sono i più complessi tra gli edifici esistenti, perché agli aspetti funzionali materiali, uniscono quelli simbolici e spirituali oltre che artistici e cosmologici. Sono per questo i più adatti a rappresentare le civiltà da cui sono stati espressi.

Perché lasciare alla speculazione immobiliare di occuparsi di questi edifici che sono stati chiese o conventi o monasteri? Perché non farne luoghi atti ad accogliere gli stranieri a loro illustrando le fondamenta della nostra civiltà?

In questo aiuteremmo anche noi stessi a riscoprire tali fondamenta.

E se negli edifici meglio conservati si potranno ospitare gli “city users” (turisti o viaggiatori per affari) più interessati alla cultura, in quelli che necessitano restauri si potranno attivare opere di conservazione che potrebbero servire anche, col sistema del “learning by doing”, come veicolo di integrazione e di introduzione al mondo del lavoro, per coloro che qui giungono come migranti, alla ricerca di una nuova sistemazione. Perché anche se dismessi, gli edifici costruiti dalle comunità cristiane sono sempre produttivi di nuovi esiti, e sempre resteranno testimoni delle loro origini.

* Il Seminario Ri-abitare le chiese chiuse. Patrimoni, nuovi usi, paesaggi ha avuto luogo giovedì 24 gennaio 2019 nella chiesa di San Teonisto, Treviso. Curato da Luigi Latini e Sara Marini, è stato organizzato congiuntamente da Fondazione Benetton Studi Ricerche e Università Iuav di Venezia, e si è svolto secondo questo programma: saluti di Marco Tamaro (Direttore Fondazione Benetton Studi e Ricerche) e di Don Paolo Barbisan (responsabile Ufficio Beni Culturali, Diocesi di Treviso); introduzione di Luigi Latinirelazione di Luigi Bartolomei sulla dismissione delle chiese in Italia; relazione di Sara Marini (con interventi di Andrea Pertoldeo, Micol Roversi Monaco, Elisa Monaci) su trenta chiese “chiuse” a Venezia; relazione di L. Servadio; relazione di Tobia Scarpa su come è stata recuperata e risistemata la chiesa di San Teonisto, ora usata quale auditorium. Per la chiesa di San Teonisto vedi: https://www.jerusalem-lospazioltre.it/san-teonisto-treviso-dalle-sottrazioni-alle-restituzioni/

Le fotografie storiche sono ricavate da Wikipedia.

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