Izzedin Elzir: la Moschea di Firenze, il dialogo tra le religioni e l’esempio di papa Francesco

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Preghiera del venerdì. Immagine per il Padiglione del Bahrain, Biennale di Architettura 2018.

A cura di Oliviero Martini

Abbiamo intervistato Izzedin Elzir, Imam di Firenze, approfondendo il legame tra lo spazio islamico e il paesaggio urbano. Elzir è originario di Hebron, una cittadina della Palestina, e vive da diciassette anni a Firenze, dove ha assunto il ruolo di guida spirituale e politica della comunità musulmana. Izzedin Elzir è Imam di Firenze e Presidente della Scuola fiorentina per l’educazione al dialogo interreligioso e interculturale (FSD). Elzir è stato Presidente ed è oggi consigliere dell’UCOII, l’Unione delle Comunità Islamiche d’Italia. Nell’attesa di una vera e propria Moschea per Firenze, ci interroghiamo riguardo la ritualità diffusa, in apparenza casuale, delle preghiere e festività islamiche. Quale riconoscibilità urbana e sociale ha ottenuto il culto islamico all’interno della città consolidata?

Presidente Elzir, inizierei la nostra conversazione parlando del suo arrivo a Firenze e della sua formazione presso l’Accademia Italiana della Moda e del Design, dove si è diplomato come stilista.

Sono arrivato a Firenze nel 1991 da Hebron, pensando di tornare in Palestina una volta finiti gli studi e di approfittare del mercato fiorente della regione. Subito dopo il mio arrivo in Toscana, sono andato alla ricerca della Moschea, che purtroppo era assente. Con un primo gruppo di studenti e collaboratori fondammo allora la prima comunità islamica fiorentina.

Per più di vent’anni e ancora oggi le è riconosciuta la guida spirituale e sociale della comunità musulmana di Firenze. Come è diventato Imam? Quali significati ha assunto la sua figura in questi mesi di agitazione e inquietudine?

Mi piace definirmi come Imam “per caso”. A seguito della nascita di una comunità, viene organizzato il Direttivo che a sua volta elegge l’Imam, che ha ruolo di guida e non di autorità religiosa. Credo di essere stato eletto per il mio servizio alla collettività in un senso vasto, sia religioso che culturale, politico. Le mie prime settimane sono state molto difficili. Col passare del tempo, ho capito il peso delle mie responsabilità come punto di riferimento. Abbiamo trascorso per la prima volta un Ramadan senza Moschea, per il quale abbiamo chiesto alla comunità di riscoprire il ruolo della famiglia, organizzando la ritualità della preghiera all’interno delle proprie case. Abbiamo trasformato la crisi legata alla pandemia in un’occasione di spiritualità diffusa.

Si è molto dibattuto e siamo ancora in attesa di una Moschea per Firenze. A che punto di questo annoso percorso siamo arrivati?

Si tratta proprio di un percorso lungo e difficile. Accettare una Moschea nel suo valore architettonico non è facile, a differenza di una semplice sala per la preghiera come abbiamo al momento. Questo cammino va avanti e sono fiducioso in una sua maturazione, per realizzare una Moschea bella e raggiungibile, che dovrebbe essere un valore aggiunto per tutta la città di Firenze.

Quali sono i luoghi di riconoscimento dell’Islam e della sua comunità nella città di Firenze? In che modo le vostre ritualità coinvolgono il paesaggio urbano circostante?

Normalmente le Moschee sono ben inserite all’interno del contesto architettonico. Ad esempio, leggiamo nell’architettura di una Moschea del Marocco una diversità rispetto a una in Egitto e via dicendo. Lo stesso vale, o almeno dovrebbe valere, per le moschee europee. Si tratta di un legame urbanistico tra l’architettura del luogo di culto e il paesaggio in cui essa è collocata. Da qui, la nostra iniziativa per un concorso di idee, aperto a tutti, per la progettazione della Moschea di Firenze.

In una sua recente intervista per il Corriere Fiorentino si è parlato della possibilità per uomini e donne di utilizzare una sala di preghiera condivisa. Ci può parlare delle nuove opportunità e necessità di un luogo di culto?

La Moschea è un valore aggiunto non soltanto per i fedeli musulmani ma per gli stessi cittadini fiorentini, oltre per i turisti e per i visitatori stranieri. Noi infatti la chiamiamo Moschea “di Firenze” e non della comunità islamica. All’interno di questo luogo non si trova soltanto una sala di preghiera ma anche un centro culturale islamico. In questa circostanza, il ruolo della donna è uguale al ruolo di un uomo. Uno completa l’altro. In alcune realtà è possibile trovare donne alla guida di moschee, all’insegna del riconoscimento dei diritti di tutta la comunità. Basti pensare al primo e più importante luogo per noi musulmani: Mecca. Milioni di persone si recano qui durante il grande pellegrinaggio assieme, senza distinzione di genere. Ovviamente ogni realtà ha la sua cultura e i musulmani sono sempre ben inseriti nel tessuto sociale dove abitano, abbracciando il pensiero e lo stile di vita dei paesi ospiti.

In che relazione si pongono gli spazi per il culto islamico e per la fede cristiana, considerando la loro evoluzione storica e temporale?

Preferisco non fare paralleli tra le due diverse confessioni. Lo spazio per i musulmani ha un ruolo molto importante. Tutta la terra può essere sacra e territorio per una Moschea. Il nostro obiettivo è di formare un centro islamico, al cui interno il culto struttura la preghiera, il dialogo, il confronto. Lo spazio deve essere vivo e vissuto.

Nel 2012 ha ricevuto il Premio Internazionale “Giorgio La Pira” durante la 30esima Giornata Internazionale della Pace, della Cultura e della Solidarietà, dedicata al dialogo tra le religioni. Che valore attribuisce al dialogo interreligioso nella Firenze contemporanea?

Il dialogo tra i culti è parte del Dna di Firenze. Storicamente la stessa famiglia Medici aveva avviato un dialogo con il mondo islamico. A fine Settecento la città è stata la prima ad abolire la pena di morte. In tempi più recenti il sindaco La Pira ha aperto al confronto con il Mediterraneo. La presenza di varie comunità religiose a Firenze si è quindi consolidata nel tempo e non è una novità. Questi eventi hanno aiutato la città ad alimentare il dialogo interreligioso e l’attività dei rappresentanti religiosi. Il dialogo per me è lo strumento da una parte per scoprire in profondità la propria fede, dall’altra per costruire ponti con le altre confessioni.

Concluderei il nostro dialogo, facendo riferimento al recente viaggio di Papa Francesco in Iraq, dove il pontefice ha fortemente desiderato portare un messaggio di concreta vicinanza e partecipazione. Ci spiega l’importanza di questo pellegrinaggio per le altre comunità religiose?

Ricordo bene il mio incontro con Papa Francesco durante il suo insediamento e di avergli parlato della necessità di dialogo tra i culti. In tutti questi anni il pontefice ha confermato questa mia richiesta, dimostrando sempre umiltà e semplicità. Questo viaggio nel mondo sciita è un passo complementare a quello nella cultura sunnita, due dimensioni parallele che devono essere ugualmente rispettate. È importante quindi riferirsi al dialogo come “intra-religioso”. Il Pontefice ha avuto il coraggio di viaggiare in un Paese distrutto dalla guerra, che ha sottolineato essere distante da conflitti di natura religiosa, bensì conseguenza del desiderio di denaro e armi.

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