Pavia: Summer School. I complessi parrocchiali nelle città contemporanee

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F O R M A, R U O L O E P R O G E T T O DEI COMPLESSI PARROCCHIALI NELLE CITTÁ CONTEMPORANEE

PAVIA SUMMER SCHOOL   28 agosto – 4 settembre 2022

Nei primi vent’anni del secolo XXI si sono costruiti o completati in Italia in media una decina di complessi parrocchiali l’anno1. Si tratta di una produzione che può apparire in controtendenza con i rilievi, confermati ormai da una moltitudine di osservatori, di una contrazione della pratica religiosa in Italia2. Le chiese, tuttavia, seguono le dinamiche abitative, e se tante rimangono memoria di comunità migrate, nuovi edifici di culto sorgono ove un nuovo addensarsi della popolazione si manifesta3.

Questa vivace attività progettuale ed edilizia ha generato dibattiti sulla forma delle chiese, sul loro linguaggio architettonico, sull’impianto liturgico.
Periferica, se non del tutto assente, la riflessione sul modello spaziale dei complessi parrocchiali, sulla loro origine e concezione, sul loro programma funzionale e volumetrico, sul loro ruolo e significato nelle città in relazione alle forme e all’articolazione con cui essi si manifestano 4, alle tradizioni delle Chiese particolari, ai diversi paesaggi.

Nel silenzio della riflessione critica, la gran parte delle nuove edificazioni tende a reiterare un modello consolidato in un’articolazione di pieni e vuoti ad alta permeabilità pubblica: una chiesa, un salone, spazi per l’incontro e la formazione, una casa canonica e un sagrato, variamente aggregati in una cittadella di liturgia e servizi, dimensionata secondo la densità abitativa dell’intorno territoriale.

Anche quando l’onomastica dei luoghi rimonta a tradizioni ed esperienze ecclesiali distinte, come accade per gli oratori del nord Italia e le opere parrocchiali del centro e del sud, le esperienze edilizie dal secondo dopoguerra ad oggi tendono ad elidere le differenze, attingendo ad un medesimo modello spaziale al quale pare intrinseca un’idea di centro, per la rappresentatività iconica, sociale e semantica che si assegna tipicamente agli spazi della Chiesa Cattolica in Italia.

Con i complessi parrocchiali si è così disegnata una riconoscibile infrastruttura territoriale che fu regola alla riconfigurazione insediativa della penisola, al sud come al nord, nelle città come nei centri minori. Ovunque i nuovi quartieri ne risultarono tessuti isomorfi, sorti per accostamento di cellule omologhe, con la parrocchia a configurare un nucleo, per ricreare ovunque la struttura tipica dei centri storici.

Le parrocchie furono il segno della continuità dell’ordine sociale, ausilio al riorientamento delle popolazioni inurbate. Il ruolo che i piani di espansione assegnavano ai centri parrocchiali prorogava la sovrapposizione tra significato religioso e civile delle chiese, cosicché le parrocchie divennero tra centro e periferie garanzia del trasferimento della rappresentatività politica così come lo erano della rappresentatività ecclesiale. Se infatti “è la diocesi ad assicurare il rapporto della Chiesa con il luogo, è attraverso la parrocchia che la diocesi esprime la propria dimensione locale”5.

Di questo processo di costruzione della città la Torino del Card. Pellegrino, la Milano di Montini furono laboratori estensivi dopo la precoce esperienza del Cardinal Giacomo Lercaro e dell’Ufficio Nuove Chiese a Bologna che, del paradigma fondativo di questa “urbanistica religiosa”6, avevano fatto anche il titolo della rivista della sua principale diffusione: “Chiesa e Quartiere”. L’esperienza della rivista, inaugurata nel 1955, già nel ’68 vedeva la sua conclusione. Di quegli anni è tuttavia la maturazione del modello di complesso parrocchiale per come ancor oggi esso viene concepito. Alla determinazione della sua immagine contribuirono senz’altro il ruolo urbanistico, la sperimentazione di nuove modalità di partecipazione liturgica, le possibilità espressive e tecniche che i nuovi materiali da costruzione (cemento armato in testa) potevano garantire al disegno di spazi ampi e accoglienti. Intrinseca a questa immagine resta una condizione culturale storicamente determinata: l’identità tra comunità religiosa e comunità civile, tra religione e cristianesimo che, in mancanza di una revisione critica del modello, ogni nuova declinazione tende a riprodurre con inevitabile condizionamento dei comportamenti e delle relazioni.

Queste corrispondenze sono invece entrambe risolte. Sottoporre il ruolo e – quindi – il modello dei complessi parrocchiali ad una verifica appare dunque urgente se non tardivo, stante l’accelerazione nei mutamenti nella compagine sociale, la ristrutturazione radicale di ogni costruzione culturale (dall’idea di natura, alla comprensione di famiglia e di genere), la frantumazione di ogni narrazione unitaria – e di ogni autorità – che si ponga a qualsiasi livello (morale, politico, religioso) come principio di interpretazione o fruizione del mondo. Una revisione nei modelli dei centri parrocchiali si esige sia ex parte ecclesiae, perché essi possano corrispondere efficacemente allo scopo primario per cui essi sorgono e si specificano nell’attuale prospettiva ecclesiale, sia ex parte mundi, per verificare il ruolo che essi possono giocare nel disegno della città, nell’offerta di servizi, nella costruzione di una sua immagine.

La questione non tocca solo i complessi in progettazione o erigendi, ma anche quelli già costituiti, la cui presenza muta in termini di rappresentatività, ruolo e interpretazione. Da immagini del centro, essi sono divenuti uno tra i centri, in una dimensione urbana che si è fatta policentrica e che, non a caso, ammette il suo duale nella rete, connessione senza gerarchia di centri.

Cerniere tra Chiesa e mondo, l’interrogativo sui complessi parrocchiali, comporta una interpretazione sinottica di entrambi i termini della questione, con evidente amplificazione della complessità e delle competenze necessarie a dipanarla.
Aggrava ulteriormente la difficoltà dell’analisi il fatto che tra i due termini non si vi sia un regime di opposizione. Ciò non solo perché la Chiesa si fa carico dei travagli e delle attese del mondo, ma perché la Chiesa stessa, nella sua dimensione sociale, del mondo è porzione.

Le conseguenze di quest’ultima considerazione si misurano anzitutto numericamente, nel calo radicale dei credenti e dei frequentanti la pratica religiosa. Conseguente e proporzionale anche la diminuzione dei sacerdoti, il cui numero già si dimostra inferiore rispetto a quello delle parrocchie e delle strutture da gestire. L’idea di complesso parrocchiale non necessita dunque solo di una revisione relativa alla sua conformazione spaziale, ma anche al suo modello giuridico e gestionale, per consentire una diversa organizzazione ed una effettiva e sostanziale nuova distribuzione delle responsabilità.

Il tema è reso particolarmente delicato, perché se le parrocchie sono “figura della Chiesa”7, una loro riorganizzazione implica anche una re-interpretazione della Chiesa stessa.

La presente iniziativa propone una revisione critica di un’impronta insediativa che, nonostante l’innegabile importanza nella strutturazione della città moderna, ha avuto emersioni scarse nel dibattito culturale e nella ricerca, complice anche l’intrinseca complessità del tema, crocevia della gran parte dei fenomeni culturali e sociali che hanno contribuito nel medio e nel lungo periodo a determinare l’attuale fisionomia dell’Europa e, particolarmente, del paese.

La revisione critica della figura e del ruolo dei complessi parrocchiali comporta dunque il coinvolgimento di tutti i piani ermeneutici che derivano dalle discipline specifiche dell’urbanistica e della sociologia, del diritto e della storia, dell’ecclesiologia e della teologia, la cui considerazione pare fondamentale in termini di analisi e progetto, per contribuire ad un aggiornamento relativo all’articolazione spaziale, ai modelli gestionali e programmatici per complessi parrocchiali adeguati alle condizioni delle città contemporanee.

Specifiche e informazioni nel seguente link: [gview file=”http://www.frontiere.eu/wp-content/uploads/2022/06/PAVIA-SUMMER-SCHOOL_PROGRAMMA-E-CONTENUTI.pdf”]

Condizioni di partecipazione alla Summer School: selezione mediante curriculum e lettera di motivazione

Curriculum accettati: Studenti delle lauree magistrali e Laureati da un massimo di 3 anni in Architettura, progettazione del paesaggio, pianificazione urbana; dottorandi con interesse nella progettazione architettonica, urbana o territoriale.

La quota di partecipazione, prevista in 400 euro, prevede la copertura delle spese di alloggio per tutta la durata
dell’evento (8 giorni, 7 notti), i pranzi e la partecipazione agli eventi Gli scritti alla Summer School saranno invitati a frequentare integralmente le attività proposte dall’iniziativa, prevedendo quindi la frequenza sia alla fase iniziale di Convegno che al successivo Workshop, e vedranno riconosciuti 4 Crediti Formativi Universitari per le classi di laurea classe LM04. L’ottenimento del certificato
di partecipazione è subordinato alla presenza all’80% delle ore previste.

PER PARTECIPARE ALLA SUMMER SCHOOL OCCORRE INVIARE ENTRO E NON OLTRE IL TERMINE PERENTORIO DEL 16 GIUGNO 2022 una mail a pvsummerschool@fondazionefratesole.org con

– Curriculum
– Lettera di motivazione in massimo 3000 battute
– Eventuale lettera di richiesta per l’attribuzione di una borsa di studio, corredata da attestazione ISEE.

Tali materiali saranno trattati nel rispetto della riservatezza. La Fondazione si riserva l’attribuzione di BORSE DI STUDIO a copertura parziale o totale della quota di partecipazione per favorire candidati meritevoli.

Non oltre il 19 Giugno la FONDAZIONE COMUNICHERA’ LA GRADUATORIA DEI PARTECIPANTI ai quali saranno comunicate le modalità per corrispondere alla quota di iscrizione, in ogni caso entro e non oltre il 29 Giugno 2022.