Arturo Cattaneo: teologia e architettura, per non tradire la tradizione

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«Terribilis est locus iste. Haec domus Dei est et porta coeli» (Gen 28,17). Questo luogo è tremendo. È la dimora di Dio e la porta del cielo: la citazione dal libro della Genesi consente a Arturo Cattaneo, teologo e architetto, docente alla Facoltà di Teologia di Lugano, di volgere con forza l’attenzione del lettore sull’importanza delle chiese nella città europea. Non solo, sull’importanza del tempio quale elemento germinale della città dell’uomo, ovunque essa sia: di esse infatti i templi sono sempre il centro gravitazionale.

Cattaneo ha curato la redazione del volume Architettura e teologia nella costruzione di chiese in cui sono raccolti gli atti di un convegno dello stesso titolo svoltosi il 29 aprile 2022 a Lugano, con la partecipazione, oltre allo stesso Cattaneo, di Rodolfo Papa che ha esposto le sue riflessioni sull’architettura sacra; di Andrea Longhi sulle interrelazioni fra committenti, progettisti e comunità; di Ralf van Bühren che ha offerto una panoramica dell’evoluzione recente dell’architettura delle chiese; di Paolo Zermani che ha riferito di come i suoi progetti si pongano in rapporto con la terra, la luce e il silenzio; e di Mario Botta che ha messo in rilievo quanto sia importante la progettazione delle chiese, per la sua esperienza professionale così come per le città dei nostri giorni.

C’è stata una lunga epoca, nel secondo dopoguerra, in cui è sembrato che la cultura dovesse virare drasticamente verso l’aconfessionalismo, dando un drastico taglio col passato alla ricerca di una condizione nuova, come astratta da quanto avvenuto nei secoli precedenti. Questo è stato tipicizzato dal razionalismo e dal funzionalismo che hanno portato a esiliare l’uso stesso di termini quali “bellezza” (quasi che questa fosse solo un’espressione infantile e priva di significato), “ornamento” (come se questo fosse sempre e comunque un eccesso), “tempio” (come se questo, poiché comporta l’idea di separazione, dovesse essere relegato solo all’ambito di culture estranee al cristianesimo e alla sua vocazione comunitaria), “sacro” (come se a conseguenza della riforma conciliare si dovesse parlare solo di “santo”).

Dopo il Vaticano II, per rifuggire da quelli che erano stati gli eccessi di un barocchismo spettacolare coltivato in particolare nel XIX secolo, si è verificato un appiattimento, al quale hanno contribuito le varie tendenze anti religiose sviluppatesi sulla scorta dell’ideologia materialista imperniata sull’assunto della “morte di Dio”. In questi anni più recenti, il ripensamento su quanto avvenuto porta a rivedere quegli atteggiamenti: c’è una nuova attenzione per la ricerca dell’ornamento, per l’aspirazione alla bellezza, per le teorizzazioni sull’estetica anche in ambito filosofico.

E la presenza delle chiese nelle città viene sempre più riconosciuta come fondamentale per gli spazi urbani, proprio perché esse costituiscono “un eccesso”, nel senso che eccedono l’usuale funzionalità degli edifici la cui finalità è limitata ad assolvere a necessità materiali. Ecco che la chiesa diviene luogo in cui si manifesta l’aspirazione umana alla bellezza, per quanto questa sia ineffabile e non passibile, nella concretezza delle opere, di una definizione valida una volta per tutte.

Nel suo saggio di apertura, Cattaneo nota come Mario Botta abbia “denunciato il diffondersi della costruzione di chiese lontane dalla ricerca della bellezza”: «basti pensare – ha scritto Botta – agli approcci postsessantottini, dove si teorizzava persino che la miglior chiesa era quella nei garage o nelle grandi fabbriche, nelle grandi strutture dismesse, come se il sacro potesse trovare espressione non importa dove. C’è tutta questa cultura post-sessantottina che deve essere rivista. Credo che sia stato un bene tentare di resistere a questa finta democratizzazione dello spazio di culto».

Ed ecco dunque riaprirsi il dibattito sul rapporto tra le dimensioni orizzontale, propria della comunità, e verticale, propria dell’incontro tra comunità e Creatore. Del rapporto tra presente e tradizione, che non può essere tradita pur mentre si cammina col tempo corrente.

Le tematiche non sono nuove, né inconsuete. Ma il modo come sono state affrontate nel convegno di Lugano riflette bene la nuova temperie culturale che si sta esperendo in questi anni in cui il coinvolgimento delle comunità nella progettazione, gestione e aggiornamento degli edifici di culto è sentito come sempre più urgente e importante. Come ha scritto Andrea Longhi, la progettazione oggi si orienta su “un paradigma processuale, in cui ogni architettura è costruita dall’agire continuo di diversi soggetti e comunità, con attese e visioni plurali”.

E pur dopo tanti anni che sono parsi di esilio, si riscopre come l’architettura delle chiese sia al cuore della città. Come riferisce Mario Botta: “Più di una volta ho ribadito che, se potessi scegliere, farei solo dell’architettura sacra, poiché per me essa è la massima espressione di quanto l’architettura possa dire. Il sacro mi ha permesso di conoscere gli elementi fondativi e primordiali del fatto architettonico: la gravità, quindi le mura, la soglia che è passaggio da un microclima a una maxi dimensione… Elementi che sono strutturali ed essenziali nel sacro, dove acquistano una speciale forza e vitalità. Nel corso dei secoli essi hanno contribuito a configurare la tipologia così raffinata ed essenziale della liturgia della Chiesa, originando un’organizzazione funzionale dello spazio che permette di andare oltre il finito…. Non conosco costruzione che abbia un’essenzialità così forte come quella che trovo nello spazio dedicato alle funzioni liturgiche, al sacro in generale”.

Arturo Cattaneo, Architettura e teologia nella costruzione di chiese (Cantagalli, pagine 169, euro 22,00)